Da dove partire per parlare di Antonia Klugmann?
Probabilmente dalla raffinata cena assaporata in una serata di primavera baciata da un sole già caldo sui tetti asburgici di una stanca Trieste, che guardano la Piazza Unità ed un mare che non ha confini.
Rape con uova di trota, lamponi, centrifuga di rapa rossa, salsa agrodolce e succo di fragole; gnocchetti al nero di seppia conditi con seppie nella loro salsa; guancia brasata con centrifuga e succo di mele della valle del Natisone; una strepitosa e immancabile rigojansksi.
Inizio da lì perchè quella per me è stata l’occasione di conoscere questa chef, triestina, girovaga_ come tutti i buoni triestini che si rispettino_che ha scoperto la propria vocazione per caso, quando da universitaria, a Milano, ha dovuto farsi da mangiare.
Poi _ quando si dicono i casi della vita_ l’ho nuovamente incrociata in qual posto incantato, ma nonostante questo ancora poco conosciuto, che è il roseto del Parco di San Giovanni.
Tra le rose, in occasione di “Rose, libri, musiche, vino” annuale rassegna primaverile organizzata dall’amica Patrizia Rigoni in collaborazione con il vulcanico Carena, deus ex machina dell’azienda agricola Monte San Pantaleone.
A parlar di luoghi o meglio dei sapori dei luoghi, in un luogo che oltre che del profumo intenso delle rose, sa di libertà.
E’ qui che ho avuto l’occasione di scambiarci due parole. Una bella chiacchierata, che ha avuto il suo seguito quando, proprio pochi giorni fa non ho resistito alla curiosità di andare a trovarla nel suo regno a Vencò, in provincia di Gorizia. L’Argine.
Una meraviglia, immersa tra i vigneti, sull’argine, per l’appunto, del torrente Judrio.
Antonia, questa piccola triestina, schiva, taciturna, per nulla avvezza ai riflettori, mi stava aspettando, dietro ad una delle immense vetrate del ristorante, in stile minimale, pochi tavoli e mobili in legno grezzo pensati con cura quasi maniacale dal compagno, Romano.
Troviamo subito una lunghezza d’onda comune, accomunate come siamo dall’amore per quel grosso libro che non è solo un semplice manuale di cucina ma anche la storia di uno spirito e di un costume del tutto triestino e che, da generazioni, trova posto sugli scaffali delle nostre case _ mi riferisco a “La cucina triestina”di Maria Stelvio, recentemente riedito da Lint editoriale _ mentre discorriamo amabilmente davanti ad un bicchiere di un bianco, una chicca prodotta a Venezia da un francese.
Quando si parla di cucina Antonia non è per nulla taciturna.
Mi parla della sua vocazione inattesa, a Milano; della sua scelta di lasciare gli studi di giurisprudenza per dedicarsi alla sua passione; delle sue tante peregrinazioni, da Raffaello Mazzolini de “Agli Amici” di Udine, da Barbieri, al Dolada di Pieve d’Alpago, al Ridotto prima e al Venissa poi, a Venezia. Poi, ancora giovanissima, è vittima di un incidente d’auto che la costringe ad una sosta forzata per una anno. Si dedica all’orto e alla terra. E decide di mettersi in proprio insieme al compagno. Inizia così l’avventura che la porta a Villa Lovaria a Pavia di Udine e poi finalmente nel suo Argine a Vencò.
Anni di grandi esperienze e di grandi riflessioni sulla cucina. “Non mi piace parlare di rielaborazione della cucina tradizionale _ mi dice _ Mi piace inventare. Ma l’invenzione è sempre il frutto di un bagaglio di conoscenze, di vissuti e di tradizioni, anche triestine, che si ritrovano tutti nei miei piatti.”
Anni di di grandi successi, che la portano a sedere, come relatrice, sul palco di “Identità Golose” accanto ai guru dell’alta cucina mondiale, che l’hanno proclamata miglior cuoca italiana nel 2103 e a partecipare alla stesura della Carta di Milano in occasione di Expo 2015.
Expo 2015. Antonia si trova d’accordo con Carlo Petrini. Una manifestazione importante, ma forse un’occasione mancata per dire qualcosa sul cibo in maniera rivoluzionaria. “Ma forse, mi dice, il contesto non è quello giusto”.
Ma Trieste? “ A Trieste ci torno sempre. Ho qui ancora la mia famiglia, i miei fornitori di pesce e di spezie. E’ il mio vissuto giovanile che mi porto dietro, ineluttabilmente.
E’ il sapore della rigojansksi del pranzo domenicale che mio nonno andava a prendere alla Bomboniera e che portava a casa su grandi vassoi. Oppure quello della dobos della pasticceria Penso.
E’ il ricamo della tovaglia di mia nonna, che ancora uso insieme alle sue tazze da te, qui, per i miei ospiti.
E chissà_ prosegue_ che non torni ad aprire un qualcosa a Trieste. Per ora mi accontento di sporadiche incursioni culinarie. Per poi tornare al mio Argine“.
L’Argine a Vencò
località Vencò 15
34070 Dolegna del Collio, Go
04811999882
ristorante @argineavenco.it