Sul portone un cartello avvisa che il casting per il cortometraggio “La Cura” si tiene al secondo piano.
Il portone è aperto. “ Si prega di non suonare”.
Entro in un androne che sa di antico. Un cortile interno chiuso da un grande portone di legno nero con vetrate, dove mi immagino le carrozze e i cavalli di una volta.
Mano a mano che salgo le scale, mi si avvicina, sempre più intenso, un fitto vociare.
Lo seguo e mi ritrovo tra una folla variopinta e variegata, composta in una lunga fila.
Aspettano il loro turno.
Uomini e donne, giovani, meno giovani e anche qualcuno che di anni ne ha un po’ di più, alcuni eleganti, altri più sportivi. Qualcuno, nell’attesa, lascia trasparire una leggera ansia, che si manifesta in un sorriso tirato, in un dondolio incessante della gamba, in una chiacchiera quasi logorroica, in un silenzio vacuo.
Attori in attesa della grande occasione, gente comune che è lì solo per dire c’ero anch’io.
Mi faccio largo tra la folla, che attende di ricevere il fatidico “numeretto” che gli permetterà di essere individuato ed eventualmente richiamato a far parte del cast.
Maddalena Mayneri, energica e lungimirante produttrice del corto con la sua Reef Comunicazione, mi introduce sul set.
Entro. Stanno già provando. Il Municipio occhieggia dal bow window.
E’ il turno degli attori.
Dietro la macchina da presa c’è il giovane regista Andrea Andolina.
“Silenzio…. motore… azione!”
Scena 2. Scena 8. Scena 10.
Provano, a turno, due attori e un’attrice, una bella ragazza con un caschetto nero e due occhi di un azzurro penetrante.
Gli fa da spalla, suggerendogli le battute la giovane sceneggiatrice Valentina Burolo.
Il testo non mi è nuovo. È liberamente tratto dal racconto “Sette piani” di Dino Buzzati_ che qui diventano cinque _ e racconta di come quello che doveva essere solo un banale ricovero di alcuni giorni, si trasforma lentamente in una spirale dominata dall’inquietudine e dall’impossibilità di reagire a una catena di eventi grotteschi. Cosicchè per la protagonista signora Dotti, inizialmente sistemata in una luminosa stanza al quinto piano, quello per i pazienti “sani”, inizia una discesa verso la zona bassa della clinica, verso quell’orrendo primo piano, sinistro e in semi oscurità, dove sono trasferiti i malati senza speranza.
Le prove sono incalzanti. Qualche attore chiede di ripetere la scena.
Le comparse iniziano a rumoreggiare. Aspettano il loro turno.
Si inizia.
La prima è una bella signora di mezza età, bionda, elegantemente fasciata in un tailleur nero.
Si siede sulla sedia, preparata al centro della stanza. Il numero 1 ben in vista per la foto, scattata da Andrea della Trieste Casting.
“Un sorriso?” Scatto e via.
1, 2, 3, 4… le aspiranti comparse si susseguono a ritmo serrato.
C’è chi sorride, chi pensa di sorridere, ma rimane immobile, chi si rifiuta di sorridere. Come quel bizzarro signore, di una certa età, capelli brizzolati che escono da un berrettino bianco fraccato sulla testa, rughe accentuate da una vita vissuta all’aria, che con voce roca, ma ferma dice “ Sorriso? No grazie, non oggi, perlomeno”.
Davanti alla piccola macchina fotografica si siede tutto un mondo.
Attempate signore, giovani donne, ragazzi di belle speranze.
Ognuno con il suo numero ben in vista davanti al fotografo; ognuno in attesa di una ricompensa al suo velato narcisismo.
Le riprese del cortometraggio “La Cura” _ la cui anteprima si proietterà al festival Cortinametraggio (18-22 marzo)_ si snoderanno, ultimati i provini per completare il cast a cura di Trieste Casting, nella realistica location della casa di cura Salus tra il 9 e il 14 dicembre.
Accanto alle comparse, a vestire i panni, anzi, la divisa di paziente e i camici di primario e dottoressa, Ariella Reggio, Fulvio Falzarano e Maria Grazia Plos, mentre l’esuberante Matilde sarà interpretata da Francesca Cardinale, nipote d’arte di Claudia, icona del cinema italiano.