Via Tigor 12, Trieste.
E’ l’indirizzo dell’ingresso ad un isolato di case di abitazione composto da cinque edifici progettati dall’arch. Mosco e costruiti attorno al 1900.
Qui, tra cittadini distratti dalla fretta della quotidianità, c’è sempre qualche turista che fotografa con attenzione.
Dietro il cancello si apre una bellissima galleria in stile liberty con statue che rappresentano le stagioni e affreschi, appena visibili, di Romano Buda.
Sulla facciata quattro grandi mascheroni danno il nome alla casa.
Dietro alla galleria, un giardino lasciato all’incuria del tempo.
L’edificio, un po’ inquietante, insieme alla bellissima piazzetta della Valle, ha ispirato l’ambientazione di una scena, al capitolo 12, del romanzo dell’ amico Antonio Sia “ Il ponte sul lago”, che vi riporto di seguito:
“Lo vide con la coda dell’occhio che spariva dietro un palazzo. Non avrebbe potuto giurarlo, ma gli era proprio sembrato di vedere lo stesso uomo vestito di nero dall’aspetto inusuale che aveva scorto dietro l’angolo di casa di Isabel. Con lo sguardo d’intesa che si scambiarono senza proferir parola, si fecero coraggio e decisero di seguirlo a distanza di sicurezza. Si ritrovarono in una strana, ma allo stesso tempo deliziosa, piazzetta rotonda lastricata in pavé.
Le case che vi si affacciavano, dipinte con colori tenui e ben equilibrati, seguivano l’andamento circolare della piazza presentando una certa concavità in facciata. In centro faceva bella mostra di sé una fontana costituita da una vasca poligonale in pietra con un cippo centrale adornato da piccole sculture in bassorilievo. Dalla piazzetta si dipartivano tre strade. Scelsero di seguire quella che s’inerpicava verso il colle. A causa dell’andatura spedita con cui si erano incamminati, il fiatone impose loro di rallentare il passo dopo aver percorso circa metà della via in salita proprio in corrispondenza di un cancello di ottima fattura finemente decorato in ferro battuto. Furono subito colpiti dall’ampia galleria che si estendeva fino a un secondo cancello attraverso il quale si accedeva a un giardino interno.
Il sangue sembrò gelarsi quando scorsero, proprio in giardino alla fine della galleria subito dietro l’angolo del fabbricato, la figura dell’uomo col mantello che scomparve come d’incanto.
Indietreggiarono per mettere a fuoco l’intero edificio mentre cominciava a imbrunire.
La facciata dell’edificio, subito sopra la galleria, che funge da entrata agli edifici, era ornata da quattro maschere dall’aspetto tutt’altro che rassicurante. Le maschere, dal ghigno sinistro, quasi a mettere in guardia gli incauti avventori, risaltavano prepotentemente da un cornicione finemente lavorato in bassorilievo. All’incrocio tra le colonne e la trave che delimita il portale d’accesso, due volti di donna scolpiti sembravano manifestare una vissuta angoscia.
Si avvicinarono timorosi al cancello che, spinto delicatamente, si aprì con un sinistro cigolio.
La bellissima galleria in stile liberty, sontuosamente lavorata, era arricchita da una duplice serie di statue. La debole luce dei lampioni in strada, vincendo la fioca illuminazione della galleria, allungava sinistramente le loro ombre all’interno del tunnel. Lo stato di degrado contribuiva a rendere l’atmosfera ancora più inquietante. Erano vagamente distinguibili i soggetti degli affreschi che abbondavano alle pareti.
Percorsero la galleria stretti l’uno all’altra e con i sensi all’erta e i nervi tesi come corde di vilino raggiungendo l’ampio giardino dove, in completo abbandono, giacevano i resti di statue rappresentanti due bambini e un S. Antonio.
Dell’uomo nero però nessuna traccia….”
Grazie 1000 Francesca. Introduzione perfetta e foto azzeccatissime anche dal punto di vista della luce che rendono proprio l’idea di quello che volevo trasmettere.
Bravissima, di nuovo grazie. Ho messo, ovviamente il link al blog sul mio sito. Ciao Antonio