Sono sopravvissuta alla Green Europe Halfmaraton. In breve e per tutti la Bavisela.
Sono arrivata al traguardo dopo quei, per me lunghissimi, 21 km _ e 97,5 metri, che, come dice Paola, sono i più duri.
Non lo davo per scontato.
Quando ho visto il mio pacco gara e ho visto il mio pettorale ho iniziato a preoccuparmi seriamente.
Non ho mai percorso una distanza così lunga.
Ero allenata, ma al massimo sono arrivata a fare 15 km.
L’unica consolazione alle mie paure stava nel fatto che la mattina del 3 non ero sola tra la folla. Con me ci saranno Paola, Rita e Paolo con i quali ho condiviso questi ultimi quattro mesi di allenamento.
La gara, per me, è iniziata già dalla sera prima. Cena leggera a base di carboidrati _ pasta _e molta acqua.
A letto presto. Ma non è stato un sonno tranquillo. Mi sono svegliata parecchie volte presa dall’ansia.
Sveglia comunque alle 6.35.
Mi sono preparata 80 gr di pasta integrale con l’olio, come raccomandato da Sandra.
Poi ho preparato il mio zaino con il cambio, il numero di pettorale e via al punto di ritrovo.
Ore 7.45. Piazza della Libertà, per prendere gli autobus che portano alla partenza della gara.
Oltre Duino.
Trovo Paolo, con il suo solito buon umore, e Rita, con le sue solite ansie, che questa volta non posso far altro che condividere.
Paola è in ritardo e ci cercherà alla partenza.
Sull’ autobus c’è un po’ di tutto.
Ho trovato posto seduta. Davanti a me un signore di una certa età, occhiali, capelli radi e brizzolati. Guarda fuori dal finestrino le navi immobili su un mare che oggi ha il colore del vino. Muto. Immobile. Occhi vitrei, fissi le nulla. La fascetta, una sottile cordicella grigia, trattengono solo alcuni ciuffi sparuti di capelli, residuo di un antico sovraffolamento.
In piedi, davanti a me due attempati tedeschi, professionali a tal punto da farmi quasi paura.
Al loro fianco un giovane già bell’è pronto, nella sua tenuta da corsa. Pantaloncini corti, neri, maglietta blu, di Bavisela e una mela ben stretta nella mano.
Rita è seduta dietro di me, pensosa. Paolo di lato chiacchiera allegramente con un suo amico.
Arriviamo.
C’è già una marea di gente che si sta scaldano e preparando psicologicamente alla gara.
Chi corre, chi fa stratching, chi chiacchiera e chi fa una interminabile fila per l’ultima pipì prima della partenza.
Io e Paola optiamo, come molti altri _ c’è un gran affollamento _ per i cespugli.
Paolo ci porta a bere un caffè da un amico a Duino, proprio dietro al castello. Rita freme.
Poi ci scaldiamo un po’ e mentre corricchiamo _ e mi pare di essere già stanca _ incontriamo il mitico Gelindo Bordin, indimenticabile vincitore della maratona olimpica di Seul, la star di questa maratonina. Foto di rito con un Bordin più che disponibile.
Poi lasciamo le nostre borse nei vari autobus apprestati “ad hoc” _ le ritroveremo all’arrivo, se arriveremo!
Poi tutti pronti alla partenza, ognuno nella propria griglia.
La nostra è quella oltre le due ore.
A me, vederlo scritto, maggiore di due ore, mi viene già male.
“Comunque sono qui e indietro non posso tornare. Casomai camminerò” _ penso tra me e me.
Sopra di noi gira l’elicottero per le riprese televisive. Siamo anche noi un pò delle stars.
“Tutti con le meni in aria! “Incita lo speaker al microfono.
Poi, prosegue nelle varie lingue. “Tutti gli inglesi con le mani in alto”; “tutti i tedeschi con le mani in alto”; “tutti gli sloveni con le mani in alto”… siamo tantissimi e da tutte le parti del mondo.
E’ il momento della partenza.
Partono per primi quelli che vengono sospinti sulla carrozzina. Tra di loro anche Pino, marito, sempre presente, di Sandra, la mia allenatrice, sospinto a turno da 6 baldi maratoneti.
“In bocca al lupo, Pino!”
Dopo cinque minuti è la volta nostra.
Si parte. Lentamente. Aspettando che il serpentone umano si snoccioli.
Ognuno tiene il proprio ritmo. Ognuno ha la propria condotta di gara.
Paola parte pianissimo, secondo i dettami di non so chi, che la sta aiutando a preparare e a sognare la maratona di New York .
Io anche parto piano. Ho bisogno di riscaldarmi. E poi i prime tre chilometri e mezzo sono in salita. Leggera, ma pur sempre salita. Alla fine della salita raggiungo Paolo e Rita che erano partiti con ritmo più sostenuto. Rita è in leggera difficoltà. “Ciao ragazzi _ ci dice, con voce tremante_ io mi fermo” . “ Vuoi scherzare _ le dico _ rallenta con me e tieni duro. E non si discute”.
Rallentiamo e chiacchieriamo, per quel che riusciamo. Va un po’ meglio.E poi è iniziata la lenta discesa che porta al bivio di Miramare.
Uno spettacolo.
Dalle nuvole fa capolino un sole velato. Il mare cambia colore al cambiare del cielo. Le navi sono immobili, enormi, in mezzo al mare con la prua rivolta alla città. Sembrano voler ammirare la gara_ mute spettatrici _ insieme agli altri saltuari spettatori, che lungo la Costiera ci incitano.
“Dai, forza, brave”. Sembra nulla, ma invece l’incitamento ci da una gran forza.
A metà della costiera allungo un po’ il passo ed inizio la mia gara in solitaria. Vedo Paolo davanti a me, ma non lo riesco a raggiungere. Paola e Rita sono poco più indietro.
Mi sento tutto sommato bene. Rallento ad ogni punto di ristoro. Bevo, come mi ha raccomandato mio marito_ che già mi immaginava portata via in ambulanza _ almeno due bicchieri. Al decimo chilometro non ho ancora male da nessuna parte e sono contornata sempre dalle stesse facce. C’è chi mi supera, poi rallenta perchè stanco, poi mi supera nuovamente. Ma l’andatura è sempre la stessa. Più o meno.
Io vado, tenendo sempre più o meno lo stesso ritmo e pensando con un leggero terrore all’arrivo al bivio dove finisce la discesa e dove _ a detta di tutti i più esperti di me _ ci si inchioda.
Ci arrivo al bivio. E non mi inchiodo. Mi stupisco del fatto di sentirmi ancora così bene. Alla mia sinistra vedo i cartelli dei chilometri. 15,…. 16…, 17… Ci siamo quasi.
E invece…. La crisi arriva . Iniziano a farmi male le anche. Molto male. E i muscoli delle gambe sono durissimi. Rallento e faccio qualche camminata. Fare un chilometro, fino al diciottesimo, sembra un’eternità. L’unica consolazione è che non sono l’unica ad avere difficoltà. Davanti a me una signora continua a fermarsi e a togliersi una scarpa perchè ha male sotto la pianta di un piede. Qualche altro cammina. Io riprendo lentamente. Vedo il cartello dei 19 km. Mi fermo al ristoro e bevo. Riparto. Quando arrivo davanti alla stazione mi pare quasi fatta.
Il capannello di gente che segue la gara ci incita. Fa bene allo spirito.
Il male non si fa più sentite. Si sentono solo le persone che ti urlano “ bravi, dai che ci siete quasi!”
Io, non sento più nulla. Cerco solo di arrivare alla fine il prima possibile.
Allungo leggermente. Non vedo l’ora di vedere quel gonfiabile rosso che segna l’arrivo in Piazza Unità.
Corro veloce, supero una bella ragazza rossa. Svolto verso la piazza. Vedo l’arrivo e la folla che la gremisce.
Penso.” Ci sono, è finita”.
Un ultimo sforzo…. e passo il traguardo.
Non mi sembra vero. Mi avvicino alla transenna per allungare un pò i miei muscoli induriti dallo sforzo. Cerco con lo sguardo mo marito, che sicuramente mi avrà creduto già morta o quasi.
Vedo Paolo che, proprio di fianco a me fai il suo stretching. E’ arrivato poco prima di me .
Subito dopo Paola. Rita è anche arrivata, nonostante la sua testa ( è la più veloce di noi, ma non lo vuole sapere). Ci siamo tutti.
Il cronometro è impietoso. Ma non conta.
Quello che veramente conta, in questa grande festa triestina,è poter dire: c’ero anch’io!
Le foto non sono mie. Questa volta o correvo o fotografavo.
Sono prese dalla pagina fb di Bavisela.
Alcune sono di Marino Sterle
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