“Sole. Ma come? No i gaveva dito piova?”
Stesa al Pedocin, indomita senza la branda, nonostante quei maledetti sassolini, mi rosolo ad un sole del tutto inaspettato.
Con l’occhio semichiuso, in cerca di un riposo che stenta a sopraffarmi, una piacevole brezza mi scivola tra i capelli ed attenua il calore di un sole già quasi estivo.
Il brusio di sottofondo mi culla nei miei pensieri.
Si fa sempre più intenso, fino a che non posso non ascoltare l’argomento del giorno.
Oggi si parla del tempo.
“Ti ga visto che bel? Ciò, co go visto sto sol, me go subito fiondà. Anca perchè i disi che doman no sarà bel..”
Quella voce roca mi è familiare. E’ sempre lei, quella con le dita ingiallite dal fumo e la faccia arsa dal sole.
Il colore della sua pelle è ancora più scuro. Capelli corti, neri, naso affilato, gli occhi imbrigliati in vistosi occhiali a specchio.
Intravedo spuntare da un paio di pantaloni di una tuta piuttosto démodé, sul suo fondo della schiena, di un marrone inarrivabile, un largo tatuaggio alato.
“Chissà_ mi sono chiesta _ perchè è sempre e comunque mezza vestita”.
La sua postazione, qui al Pedocin, è sempre la stessa: seduta su una seggiola di plastica bianca a ridosso del piccolo bar, proprio all’ingresso del bagno.
Intrattiene le ospiti. Si alza. Si risiede. Sembra inquieta. Fuma una sigaretta dopo l’altra e soprattutto non smette mai di parlare.
Non la si è mai vista entrare in acqua.
Oggi parla fitto fitto con la sua vicina di postazione.
Altrettanto abbronzata, i capelli rosso fuoco raccolti in un morbido chignon, le carni molli composte in uno striminzito bikini, le unghie vistosamente laccate di un rosa che non passa inosservato.
“Anca su feisssbuk i gaveva meso bruto. Ciò, non i capissi gniente.”
L’altra annuisce e ribatte : “ Ma te se rendi conto cossa che se gavessimo perso? E doman? I mete de novo bruto. Ciò cossa femo? Mi vegnarò….”
Stese, tutte spogliate dei vestiti e delle loro sembianze sociali le donne, triestine o meno che siano, seguono il sole, immobili in ogni parte del corpo eccezion fatta che per la bocca.
Guai a perdersi anche il minimo raggio.
Una condanna più che un piacere.
La condanna alla tintarella.
L’affluenza si fa via via più intensa.
Tra i corpi mollemente adagiati al sole squilla un telefono.
“Qui xe bel. Anzi belisimo. Anca l’acqua la xe tiepida. El picio ga fato il bagno. Poi il se ga docià.
Sul monte Grisa invece xe bruto. No so se tegnerà…”
Ha tenuto, invece, per tutto il pomeriggio con buona pace delle babe del Pedocin.
“Ti vegnerà doman?. Non so, se farà bel ...”